Come si fa a spiegare la magia di Sarajevo, quel sortilegio balcanico che ti prende al cuore e fa sì che tu ti senta a casa, anzi più che a casa, proprio qui, in una terra strampalata dove sono successe cose tanto terribili in tempi così dannatamente recenti? E’ difficile, ma ci vogliamo provare ugualmente a raccontare perché Sarajevo occupi un posto tanto speciale nel nostro cuore di viaggiatori, e perché al solo sentirla nominare finiamo sempre per emozionarci e commuoverci.
Intanto Sarajevo è bella, d’una bellezza profonda e gentile, appoggiata tra colline verdissime e attraversata dall’acqua gelida della Miljacka, il fiume sul quale avvenne l’assassinio che scatenò quello scherzetto che fu Prima Guerra Mondiale. Inoltre, a dispetto degli eventi epocali e terribili che vi sono successi, la gente a Sarajevo è gentile e accogliente, e alle cinque del pomeriggio si mette ordinatamente in fila per comprare il delizioso pane locale appena sfornato. Attirati dal profumo irresistibile del pane caldo, un pomeriggio ci siamo messi in fila anche noi in uno dei tanti forni della città, e abbiamo dovuto lottare perché non ci facessero passare davanti semplicemente in quanto stranieri. Questo può dare il senso dell’accoglienza bosniaca, e della gentilezza e della simpatia che i bosniaci nutrono per chi viene dall’estero.
Prima del tremendo conflitto degli anni Novanta Sarajevo era considerata la Gerusalemme d’Europa, perché vi convivevano in pace da secoli cristiani ortodossi, cattolici, ebrei e musulmani. Tra il 1992 e il 1995 questa meravigliosa città fu invece trasformata dai nazionalisti jugoslavi nel teatro di atrocità indicibili, violenze di ogni genere, e orribili vendette, che portarono alla morte solo a Sarajevo di oltre 10mila persone.
In quel periodo, nella quasi totale indifferenza della comunità internazionale, la capitale bosniaca è stata vittima del più lungo assedio della storia moderna, durato quasi quattro lunghissimi anni, e tutto a poche centinaia di chilometri dal confine italiano, in piena Europa, in una città internazionale e moderna come qualsiasi altra.
Sarajevo, nonostante le ferite spaventose lasciate dalle granate, splende ancora oggi con le sue moschee, i ponti sul fiume, e le incantevoli stradine della Baščaršija, l’antico quartiere ottomano. Questo è anche il cuore della città antica, dove si trova la deliziosa Pigeon Square, con la sua splendida fontana pubblica da cui sgorga un’acqua gelida e buonissima. Nelle strade attorno alla piazza si trovano tantissimi ristoranti, negozietti di ogni genere e locali all’aperto dove bere un buon caffè turco e fumare la šīša. I locali con narghilè li troverete un po’ ovunque, infilandovi in vicoli che sembrano non portare da nessuna parte, e vi ritroverete immersi in un sogno da mille e una notte, con divanetti, cuscini, e un sacco di giovani bosniaci che chiacchierano allegri fumando tabacco al profumo di mela.
Vista così Sarajevo è una posto come qualunque altro d’Europa, una specie di vivace Istanbul di montagna, ma per avere un senso del massacro avvenuto meno di vent’anni fa, basta uscire dalla Baščaršija, e incamminarsi per poche centinaia di metri su per la collina fino al cimitero dei Martiri di Kovači, dove l’immensità della distesa di tombe bianche lascia semplicemente annichiliti. A fermarsi qui viene solo da piangere, ma se salirete ancora un po’ fino al Forte che poco più sopra sovrasta la città, vi troverete davanti lo spettacolo d’insieme di Sarajevo: i camini delle case che con l’avvicinarsi della sera iniziano a fumare, i minareti delle moschee da cui risuona ripetutamente il richiamo alla preghiera, il fiume che scorre scintillante, le colline boscose e bellissime da cui i cecchini toglievano la vita a gente identica a noi. Qui al Forte i ragazzi vengono a suonare la chitarra e bere birra, la vista è eccezionale e si potrebbe restare all’infinito, a riempirsi semplicemente gli occhi.
Questa è Sarajevo, quella che ti rapisce il cuore e ti fa avere un sussulto ogni volta che la senti nominare. Siccome spiegare il sortileggio balcanico è di fatto impossibile, l’unica cosa è andarci, vederla e lasciarsi conquistare. La amerete per forza.
Dove mangiare e bere qualcosa a Sarajevo
- Inat kuća (Veliki Alifakovac, 1) un ristorante dal fascino unico, ospitato in una delle rare casette ottomane tradizionali rimaste in piedi sulle rive della Miljacka. Ha una romantica terrazza che dà direttamente sul fiume, e da cui si può ammirare ciò che resta della splendida Biblioteca Nazionale, per fortuna in ricostruzione.
- Bosanska Kuća (Bravadziluk, 3) a due passi dalla Baščaršija, questo ristorante molto semplice offre una bella terrazzina affacciata sul passeggio, e ha in menu un ottimo piattone di verdure cotte al forno servite con il pane turco, unica ma validissima alternativa vegetariana agli imperanti ćevapčići.
- Sarajevska Pivara (Franjevacka, 15) è lo stupefacente locale annesso alla fabbrica della omonima birra più famosa di Sarajevo e si trova appena di là dal fiume rispetto alla Baščaršija. Questo locale rimase aperto per quasi tutto il tempo dell’assedio, e ha un’atmosfera che sembra proprio avere qualcosa da raccontare, oltre ad una serie di birre eccellenti e del buon cibo.
- Avlija (Sumbula Avde, 2) caratteristico e colorato ristorante che offre buona cucina locale a prezzi ragionevoli.
- Cajdzinica Dzirlo Tea House (Kovaci Cilcma, 6) qui non si mangia ma si beve un tè e ci si gode l’atmosfera e l’accoglienza del gentilissimo proprietario
- Zlatna Ribica (Kaptol, 5) affascinante locale con interni retrò, aperto fino a tardi e molto frequentato, ideale per bere qualcosa
Dove dormire
Sarajevo offre una variegata quantità e qualità di sistemazioni. Potete tranquillamente arrivare senza prenotare, ma siccome ci siamo trovati benissimo vi consigliamo l’Hostel Ferhadija (Ferhadija, 21) accogliente, tranquillo e in posizione perfetta. I dormitori sono molto carini ma se chiedete la stanza doppia avrete una deliziosa soffitta tutta per voi, affacciata sull’ambasciata svedese.
Da leggere prima di partire
- Maschere per un massacro e La Cotogna di Istanbul, entrambi di Paolo Rumiz
- Il ponte sulla Drina, Ivo Andrić





























Sai cosa ti auguro, Elisa? Che qualcuno noti questo posticino. Perché credo che la tua strada sia SCRIVERE. Scrivere e basta. E basta.
Sei di una dolcezza incredibile, Serena, grazie mille…